Il design nella globalizzazione

Gli ultimi vent?anni di sviluppo economico a livello globale hanno visto una progressiva diffusione del design come strumento per qualificare l?offerta di una varietà di filiere produttive, non necessariamente legate al mondo del sistema casa-arredo. Lo status del designer è cresciuto in modo sensibile all?interno delle scale gerarchiche delle grandi imprese ed è cresciuta la rilevanza dei servizi offerti da studi specializzati. Nelle aziende design-driven, ovvero quelle aziende che hanno fatto del design un elemento essenziale del vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza, la figura del designer ha affiancato di fatto quella dell?imprenditore o di coloro che guida le imprese, aiutando a decifrare i segnali del mercato e a promuovere processi di innovazione a carattere multidisciplinare.

L?esito del processo di trasformazione che ha caratterizzato la riorganizzazione delle catene globali del valore nel corso degli ultimi due decenni ha coinciso insomma con la democratizzazione della funzione del designer come interfaccia di fondamentale importanza fra il mercato e i processi produttivi. Una nuova generazione di prodotti globali ha invaso i mercati di tutto il mondo portando qualità, ma anche omogeneizzazione del gusto. Il profilo del designer ha visto crescere la sua importanza il suo status stimolando una nuova generazione di giovani desiderosi di intraprendere una professione capace di coniugare creatività e competenze manageriali.

Le implicazioni della crisi

La traiettoria di crescita internazionale che ha caratterizzato la fase montante della globalizzazione ha conosciuto un?interruzione con la crisi del 2008. Il tracollo della finanza americana e europea ha messo in discussione l?assetto di divisione del lavoro che ha segnato la fase di sviluppo dell?economia internazionale dalla caduta del muro di Berlino in poi. La focalizzazione delle imprese occidentali su funzioni a valore aggiunto pre e post produzione (fra cui ovviamente il design) e la delega a imprese del Far East per tutte le attività di tipo manifatturiero hanno dimostrato limiti evidenti: questi limiti non sono solo di carattere economico (chi non produce tende a perdere capacità innovativa), ma anche di tipo sociale (le società che non producono perdono in coesione e riconoscimento reciproco) e ambientale (le società che non hanno cultura manifatturiera tendono a privilegiare un approccio consumistico alle merci).

Proprio la crisi economico-finanziaria di quest?ultimo quinquennio ha fatto da detonatore rispetto a una serie di istanze che segnano altrettanti momenti di rottura rispetto a una tendenza alla omogeneizzazione dei prodotti a livello globale e all?assetto di divisione del lavoro maturato in questi ultimi due decenni. In estrema sintesi queste istanze si riferiscono a:

-       una profonda rivalutazione del fare come parte integrante della dimensione creativa nell?ambito dei processi di innovazione intesi in senso lato.

-       un ripensamento sostanziale delle regole che definiscono il tema della proprietà intellettuale, con uno spostamento dell?opinione pubblica verso logiche di tipo open source

-       l?emergere di un consumo più consapevole e selettivo grazie un uso specifico della rete come strumento di informazione e di partecipazione attiva all?interno di comunità

-       il rapido imporsi di nuovi strumenti a sostegno della finanza per l?innovazione (crowdfunding) come alternativa ai tradizionali canali di accesso al credito e al capitale di rischio

-       un recupero della territorialità e della tradizione locale (heritage) come elemento distintivo delle merci sia nell?ambito dei beni di lusso che in quello dei beni più accessibili 

Una nuova cultura dell?innovazione

Tutte queste tensioni hanno determinato una varietà di progetti e iniziative di carattere economico che hanno contribuito a ripensare in modo sensibile la cultura del design e dell?innovazione in genere. Il fenomeno dei makers, ad esempio, ha riportato l?innovazione nello spazio della sperimentazione, anche a scala personale (DIY). Fare e innovare sono di nuovo saldamente uniti, anche grazie a tecnologie produttive (il cosiddetto digital manufacturing) disponibili a basso costo. Il fenomeno dell?autoproduzione parla la lingua di designer che si alleano con il mondo della produzione artigianale per promuovere la logica delle piccole serie a carattere sperimentale e di ricerca da offrire al pubblico nell?ambito di fiere-mercato di nuova generazione o attraverso piattaforme on line. Una nuova generazione di start up, in primis Etsy.com, ha avviato la costruzione di comunità di hobbisti/artigiani cosmopoliti che hanno rilanciato una cultura del prodotto hand made in mercati tradizionalmente refrattari a questo tipo di produzione.

Questi e molti altri fenomeni testimoniano di una nuova frammentazione del gusto e della geografia della produzione. La produzione, lungi dall?essere relegata nella ?fabbrica del mondo? o in qualche paese limitrofo, torna ad essere protagonista grazie a una nuova generazione di artigiani tecnologicamente evoluti. La scala di queste produzione è spesso limitata: si valorizza la personalizzazione e la varietà grazie a una domanda che sviluppa il proprio gusto in rete. I soggetti che abilitano queste dinamiche di produzione e distribuzione non sono più necessariamente la banca e le filiere distributive che già oggi conosciamo: anzi. La rete consente di differenziare in modo significativo percorsi e output.

Un nuovo designer

 

Come cambia in questo contesto la figura del designer? Rispetto al ruolo di interfaccia sensibile fra mondo del consumo e della produzione (un ?analista simbolico? sui generis), il designer vede spostare il suo baricentro verso la dimensione del fare. Riscopre l?importanza di ?sporcarsi le mani? per migliorare la qualità del suo progetto, per dare anima a un prodotto altrimenti indifferenziato. Il designer contribuisce a moltiplicare quella varietà che il mondo chiede dopo l?abbuffata di grandi marche e prodotti sostanzialmente simili che hanno popolato i nostri paesaggi metropolitani. Rispetto al passato, assume rischi in prima persona (magari finanziando i propri prodotti come nel caso dell?autoproduzione) senza affidarsi al logoro dispositivo delle royalties. Si propone su Kickstarter.com per chiedere un finanziamento per i suoi progetti. Esce insomma dal profilo di professionista assimilabile ad altre professioni liberali per contribuire in prima persona ai progetti di cui vuole essere protagonista.

Le domande a cui rispondere

Come raccontare questa nuova proliferazione di varietà di progetti, di iniziative imprenditoriali e di linguaggi? Come mettere a fuoco il complesso ecosistema che emerge dal confronto fra logiche tipiche della produzione di massa (che caratterizzeranno ancora a lungo i paesi emergenti) e queste nuove forme di organizzazione post-fordista (tipiche delle economie e delle società più avanzate)? Come descrivere i tanti profili del designer del futuro cercando un raccordo con le nuove logiche di impresa e di divisione del lavoro a livello internazionale che stanno prendendo forma in questi anni? Come descrivere il profilo di questa funzione rispetto al legame sempre più stretto con forme di innovazione sociale attenta alle comunità, ai territori e alle culture locali?

Queste potrebbero essere le grandi domande a cui la mostra del 2016 potrebbe offrire risposta.